Mezzo secolo dal referendum sul divorzio: una svolta decisiva per i diritti civili

Quasi il 60% degli italiani votò “No” all’abrogazione della legge Fortuna-Baslini, decretando anche la sconfitta politica di Democrazia Cristiana e Movimento Sociale

12 Maggio 2024
referendum

Giornali dell'epoca (foto gentilmente concesse dall’Istituto Venanzio Gabriotti)

Domenica 12 e lunedì 13 maggio: sono trascorsi 50 anni esatti, anche nei giorni della settimana, dal primo referendum tenutosi nell’Italia repubblicana, quello sul divorzio. Due giorni tanto attesi, perché era in ballo una questione di diritto civile con implicazioni morali e religiose, ma con inevitabili ripercussioni anche dal punto di vista politico; gli italiani vennero chiamati a dire la loro non con un pronunciamento diretto (della serie: siete favorevoli al divorzio oppure no?), ma vincolato dalla presenza di una legge in materia che esisteva da oltre tre anni. Nel nostro Paese, quindi, il divorzio era già legale e in quel referendum – di carattere abrogativo – gli italiani erano stati chiamati a dire la loro sulla cancellazione o meno della legge nota come Fortuna-Baslini, dai cognomi dei due primi firmatari.

Un passaggio chiave, questo, per chi andava al voto, al fine di non creare equivoci che avrebbero potuto generare un esito della consultazione diametralmente opposto rispetto alle volontà. Come più spesso anche gli spot televisivi informarono nei giorni antecedenti alla consultazione, chi in pratica era favorevole al divorzio avrebbe dovuto votare “No”, perché significava “No” all’abrogazione della legge sul divorzio e chi invece era contrario avrebbe dovuto apporre la crocetta sul “Sì”, perché significava appunto “Sì” all’abrogazione della legge. Risultato: la vittoria dei “No" fu netta.

Furono 19 milioni e 138300 gli italiani che si espressero per il “No”, pari a quasi il 60% (59,26% per l’esattezza), mentre si fermarono a 13 milioni e 157558 coloro che votarono “Sì”, ossia il restante 40,74%. Elevata l’affluenza alle urne, pari all’87,72% degli aventi diritto (ricordiamo che la maggiore età era ancora fissata a 21 anni, per cui poteva votare solo chi li aveva compiuti) e a rendere effettiva la vittoria del “No” fu la considerazione successiva: se anche quel 12,28% di assenti si fosse recato a votare e avesse scelto solo il “Sì”, il “No” avrebbe comunque prevalso con il 50,83% dei consensi. Una vittoria effettiva, quindi e legittimata in pieno dai numeri, perché tale sarebbe stata anche sull’intero corpo elettorale, oltre che sui votanti. Il divorzio fra coniugi era quindi definitivamente consentito; oggi è un istituto al quale si ricorre con frequenza, allora invece era più un caso eccezionale che altro, di quelli che senza dubbio alimentavano discussione e pettegolezzi, perché comunque ogni passo compiuto deve essere inquadrato nel determinato momento storico di riferimento e nel contesto di una Italia nella quale fino a poco tempo prima esistevano il carcere per chi abbandonava il tetto coniugale ed era legalizzato il cosiddetto “delitto d’onore”. La voglia di dare però una lettura più moderna e civile a un mondo che si stava evolvendo diventò una forte scossa alla vittoria del “No”, per il quale si espressero anche coloro che nella vita erano felicemente sposati ma che non ritenevano giusto dover privare della possibilità di voltare pagina chi non era stato altrettanto fortunato e chi soprattutto aveva anche motivi oggettivi (pensiamo alla violenza domestica) per chiedere separazione e divorzio, ipotesi che anche per i sostenitori dell’indissolubilità del matrimonio appariva comunque ragionevole. Perché insomma continuare a soffrire solo per una mera questione di facciata o per tenere forzatamente in piedi un rapporto solo perché esiste un contratto scritto? La vittoria del “No” stette a significare proprio questo, almeno 50 anni fa, ma ripercorriamo le fasi che portarono al referendum.

Le tappe del referendum

Era il 1° dicembre del 1970 quando il Parlamento dette l’ok alla “disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio” con l’approvazione della legge numero 898, i cui promotori erano i deputati Loris Fortuna, socialista e Antonio Baslini, liberale. In quel momento, il fronte sociale e quello politico italiano erano fortemente divisi: da una parte, le forze laiche e liberali, le avanguardie più radicali (femministe comprese) e parti consistenti del Partito Comunista, orientate verso una trattativa con la Democrazia Cristiana e con l’ala socialista di Francesco De Martino. Oppositori della legge erano la Democrazia Cristiana e il Movimento Sociale, seppure parte del mondo cattolico si fosse dichiarata favorevole: alludiamo alle Acli e ai cattolici democratici di Mario Gozzini. I movimenti cattolici, i comitati civici e Comunione e Liberazione erano allineati con la Cei, mentre il Vaticano aveva pensato inizialmente al progetto di un divorzio ammissibile per i matrimoni civili e vietato per i matrimoni concordatari; l’idea era piaciuta a Giulio Andreotti, ma aveva i suoi difetti anche per la Chiesa, che temeva – con questa normativa – di incentivare e incrementare in forma involontaria i matrimoni civili.

Manifesti dell'epoca a favore del Sì (foto gentilmente concesse dall’Istituto Venanzio Gabriotti")

Chi si schierò apertamente in favore del “Sì” all’abrogazione della legge fu Amintore Fanfani con l’appoggio della Democrazia Cristiana, il suo partito, anche se la parte orientata a sinistra dello “scudo crociato” e lo stesso capo del governo di allora, Mariano Rumor, preferirono rimanere in disparte durante la campagna elettorale. Certamente, dalla parte del “No” all’abrogazione della legge vi era un arco piuttosto ampio di fautori, che dal Partito Liberale arrivava fino agli extraparlamentari di sinistra. Lo scenario storico italiano di inizio anni ’70 era caratterizzato da frizioni importanti, provenienti in particolare dal mondo cattolico, che sosteneva l’indissolubilità del vincolo matrimoniale, anche se coloro che erano contrari al divorzio addussero una giustificazione di carattere laico, nel senso che il matrimonio era un istituto di diritto naturale, prima ancora che un sacramento. Una battaglia civile, morale e politica insieme, che registrò posizioni rigorose, anche se all’interno della stessa Democrazia Cristiana vi fosse una frangia non favorevole al “Sì”, come ricordava a livello locale un vecchio volantino dell’epoca dei cattolici altotiberini che si schierarono per il “No” all’abrogazione della legge. Sull’esito del referendum nei due versanti dell’Alta Valle del Tevere è stato preparato un altro articolo.

Manifesti Referendum per il Sì
Cattolici Altotiberini per il "No" (foto gentilmente concesse dall’Istituto Venanzio Gabriotti)

In ambito nazionale – lo abbiamo già evidenziato – il “No” vinse sfiorando il 60% (59,26%), quindi quasi 6 italiani su 10 (o 3 su 5, se preferite) ritennero che il divorzio dovesse rimanere quantomeno la soluzione da applicare nei casi di impossibilità oggettiva di prosecuzione della convivenza matrimoniale. Poi oggi siamo arrivati al punto – persino paradossale – che magari ci si divide per motivi da ritenere futili e si rimane insieme quando invece vi sarebbero gli estremi per dividersi, ma la presenza della legge garantisce entrambe le libertà. Può sembrare interessante, semmai, soffermarsi sulla configurazione territoriale dei risultati del referendum del 1974: se scendiamo dal nord fino al centro esatto d’Italia, la prevalenza dei “No” è schiacciante; uniche eccezioni, alcune province di Lombardia e Veneto e quella di Trento, mentre dal nord all’Abruzzo c’è la sola provincia di Macerata nella quale i “Sì” sono stati superiori ai “No”. Più equilibrato l’esito nel centro-sud: il “Sì” ha avuto la meglio in Molise, nelle due province della Basilicata, in tutta la Puglia ad eccezione della provincia di Taranto e in tutta la Campania salvo quella di Napoli, prendendosi fette importanti anche nel Lazio e in Abruzzo, così come in Sicilia, mentre in Calabria ha avuto la meglio solo in provincia di Reggio e in Sardegna solo in quella di Nuoro. I titoli dei principali quotidiani dell’epoca (la carta stampata andava per la maggiore, assieme alla radio e a una televisione che non trasmetteva h24) evidenziarono il risultato in chiave politica, mettendo in evidenza la sconfitta del Movimento Sociale e della Democrazia Cristiana.

Fanfani Vignetta
La celebra vignetta di Giorgio Forattini 

È passata poi alla storia la celebre vignetta di Giorgio Forattini con la scritta “No” sull’etichetta della bottiglia di spumante dal cui collo parte la caricatura di Amintore Fanfani con chiaro riferimento alla sua statura fisica. La battuta “Il tappo è saltato” dice tutto, anche se proprio in quella circostanza emerse chiaro il senso di coerenza dello stesso Fanfani, fautore del “Sì”, che ribadì il suo principio: “Certe battaglie debbono essere combattute anche sapendo che sono perse in partenza”, aveva detto l’illustre statista nato a Pieve Santo Stefano. E il referendum sul divorzio fu pienamente in linea con il concetto da lui espresso. Che cosa è cambiato in Italia nel corso di questo mezzo secolo? Diciamo che il referendum sul divorzio è stato il grande “apripista” di una serie di successive conquiste di altri diritti civili.

L’anno successivo, il 1975, sarà quello del nuovo diritto di famiglia, con la scomparsa della patria potestà: i coniugi sono adesso in posizione paritaria e non vi è più discriminazione nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio. Sei anni dopo, nel 1981, cadrà anche il delitto d’onore, ma già dal 1978 c’era la legge sulla interruzione volontaria della gravidanza e poi arrivarono i consultori e il servizio sanitario nazionale, una garanzia in più per il diritto alla salute. E ancora al 1978 risale la legge Basaglia, quella che ha ridefinito il significato di malattia mentale, ponendo la persona al centro della cura. L’intero periodo degli anni ’70 è stato quindi ricco di dinamiche sotto questo profilo, realizzando un processo di modernizzazione culturale dell’Italia, ancora legata a schemi e mentalità che si stavano sempre più rivelando superati. Un progresso dal punto di vista delle libertà, se soltanto ricordiamo la svolta chiave impressa dal referendum sul divorzio: per la prima volta, infatti, gli italiani seppero fare distinzione fra ambito religioso e leggi dello Stato.

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Quasi il 60% degli italiani votò “No” all’abrogazione della legge Fortuna-Baslini, decretando anche la sconfitta politica di Democrazia Cristiana e Movimento Sociale