Può un’opera d’arte stimolare la fantasia fino a farci vedere ed interpretare cose che non ci sono? Evidentemente sì, se guardando la Resurrezione di Piero della Francesca si può addirittura arrivare a scorgere la sagoma dell’Italia. È successo questo qualche giorno fa, quando assieme a degli amici romani gli occhi, soffermandosi sullo sfondo del dipinto, hanno improvvisamente messo a fuoco una forma piuttosto familiare che è stata subito associata a quella del nostro Paese. E se invece ciò non fosse totalmente frutto dell’immaginazione ma di una precisa volontà dell’artista?
Indubbiamente l’idea di associare un’Italia estremamente divisa e frammentata, come era quella del Quattrocento, ad un’opera che, in maniera emblematica e potente, raffigura il ritorno alla vita, non può che esercitare un certo fascino. Questo aspetto sembra, tra l’altro, essere amplificato dal fatto che la forma della Penisola sarebbe visibile nella parte sinistra del dipinto, ovvero in un contesto paesaggistico dominato da alberi spogli che però appaiono sapientemente inseriti in una sequenza narrativa che, spostandosi verso destra, ridonerà loro una rigogliosa vitalità.
Nel complesso è inoltre opportuno ricordare che Piero ha realizzato un dipinto che non rappresenta soltanto la resurrezione di Cristo, ma anche quella di un ideale classico che si stava risvegliando dopo circa dieci secoli di medioevo; di conseguenza, abbastanza in linea con i valori del Rinascimento, lo stesso concetto potrebbe includere simbolicamente la resurrezione di un popolo intero, quello italiano, che dalle ceneri dell’Impero Romano iniziava, nel XV secolo, ad avvertire l’esigenza di riconquistare la propria dignità. Un’idea più o meno di questo tipo era del resto già stata espressa persino da Dante Alighieri nella Divina Commedia: in una celebre invettiva riportata nel VI canto del Purgatorio il sommo poeta paragona l’Italia del tempo, sofferente e ridotta in schiavitù, prima ad una nave senza timoniere e poi ad un luogo di prostituzione (politica).
«Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello!»
Quanto espresso da Dante lascia dunque intendere che all’inizio del Trecento il poeta era già animato non soltanto dalla consapevolezza delle difficoltà politiche del tempo, ma anche da una manifesta coscienza civile che già iniziava a concepire l’Italia come un’entità unitaria che avrebbe dovuto riscattare la propria condizione di subalternità rispetto ad altri stati.
Qualche decennio più tardi anche Francesco Petrarca si esprimerà in merito a tale argomento esortando alla concordia i diversi governanti locali del tempo e profetizzando l’insorgere del popolo italiano contro l’oppressore straniero (“Italia mia, benché ‘l parlar sia indarno”, canzone numero 128 del Canzoniere).
Alla luce di questi autorevoli precedenti è dunque plausibile pensare che Piero, nella seconda metà del Quattrocento, potesse condividere lo stesso pensiero rispetto alla condizione dell’Italia, tanto da auspicarne un destino ben diverso attraverso la celebrazione della sua indivisibile natura geografica? E se così fosse, da un punto di vista meramente spaziale che tipo di rappresentazione “cartografica” avrebbe potuto avere in mente? Al tempo non si disponeva ancora di carte geometriche, pertanto la forma dell’Italia era un po’ diversa da quella attuale: è possibile farsi un’idea di ciò visionando la carta dell’Italia contenuta nel Geographia del 1482 di Francesco Berlinghieri, oppure quella, poco più tarda, contenuta nell’Atlante nautico di Battista Agnese (1553).
In virtù di queste considerazioni, potrebbe Piero avere rappresentato deliberatamente l’Italia rifacendosi alle conoscenze – quindi alle rappresentazioni cartografiche – del suo tempo? Nel mondo dell’arte non sarebbe la prima volta che, a distanza di secoli rispetto alla realizzazione di un’opera, se ne notino dettagli che prima non erano mai stati messi a fuoco: è successo questo ad Assisi, dove in un affresco di Giotto della Basilica Superiore di San Francesco è stato, pochi anni fa, individuato il volto di un diavolo che emerge dalle nubi rappresentate nella scena. Un altro caso, di valore più “geografico” quindi forse più vicino a quello qui considerato, è stato registrato recentemente a Firenze, dove sulla pala di San Barnaba del Botticelli (visibile agli Uffizi) è stato ipotizzato che il globo tenuto in mano da San Michele potrebbe raffigurare l’America del Sud: secondo questa interpretazione l’artista avrebbe dunque disegnato una parte del nuovo continente prima del viaggio di Cristoforo Colombo, dato che l’opera è del 1487.
Tornando a Piero è però doveroso fare i conti con la realtà e, di conseguenza, riconoscere che quella sagoma che potrebbe ricordare vagamente l’Italia, quasi certamente l’Italia non è. Si può affermare questo abbastanza agevolmente guardando il dipinto prima del restauro e riconoscendo che quella porzione della superficie cromatica ha, nel corso dei secoli, subito un forte deterioramento: una parte consistente del pigmento verde che un tempo caratterizzava lo sfondo dell’opera è andata perduta e pertanto le macchie che si vedono oggi sono probabilmente più il frutto di lacune che altro. Inoltre, per quanto stilizzata, la stessa figura osservata presenta analogie ma anche difformità rispetto alla rappresentazione quattro-cinquecentesca dell’Italia. In definitiva, si tratterebbe quindi soltanto di un’illusione riconducibile unicamente al nostro modo, contemporaneo, di decifrare certe forme; una stimolante suggestione, forse un po’ bizzarra, ma sicuramente tra le più autentiche e prolifiche che l’arte può fornire.