Nel mettere in collegamento l’area aretina con la Valtiberina e i valichi appenninici, la Valcerfone ha da sempre avuto una notevole importanza strategica. Non è del resto casuale che ancora oggi l’E78 Fano-Grosseto si trovi, nel suo tratto centrale, ad attraversare quest’area che, a giudicare dalle testimonianze storiche, anche nei secoli scorsi doveva essere particolarmente trafficata: ciò – come spiegato da Simone De Fraja, saggista e studioso delle fortificazioni medioevali – è infatti ben deducibile soffermandosi sui tanti resti di castelli, pievi, abbazie e centri abitati che caratterizzano questa valle. Assieme alle ricche e variegate tracce toponomastiche, sono ancora molti i ruderi e i segni architettonici che attestano un’intensa frequentazione di questi luoghi sin dall’inizio del Medioevo. Proprio per ciò che riguarda questo lungo periodo storico della cosiddetta età di mezzo, da Palazzo del Pero fino alle Ville di Monterchi, la valle del Cerfone è costellata di strutture fortificate che in certi casi presentano parti ancora oggi visibili.
Tra queste sono indubbiamente da segnalare i resti del castello di Montagutello, nel comune di Monterchi. Per raggiungere questo sito è necessario arrivare, percorrendo la Senese-Aretina, davanti alla facciata della chiesa delle Ville e da questa svoltare in direzione opposta verso Scandolaia, attraversare il Cerfone e dirigersi verso la vetta del colle che si trova proprio sopra la chiesa di Santa Maria e il piccolo cimitero di questo antico abitato. Prima ancora di approdare dove un tempo sorgeva il castello, si attraversano alcuni piccoli nuclei di edifici i cui toponimi sembrano talvolta suggerire quali fossero le principali vocazioni di questa zona: tra questi saltano facilmente all’occhio le Gualchiere, la cui collocazione vicino al Cerfone rimanda ad antiche manifatture tessili o conciarie, o Scandolaia che potrebbe rivelare un’attività volta alla produzione di scandole, ovvero assicelle di legno che un tempo erano usate al posto delle tegole per ricoprire i tetti, oppure la semplice presenza in zona di coltivazioni di orzo Scandella (dal lat. scandala, scandula).
Dopo un breve tratto da percorrere a piedi si giunge quindi al sito del castello, da cui si apre, nonostante la vegetazione, uno splendido affaccio sulla Valcerfone e, più in lontananza, su una discreta porzione di Valtiberina,
La cima pianeggiante di questo colle è, in molti punti, ancora oggi circondata da mura piuttosto massicce che seguono vagamente una forma ellittica. All’interno di questo perimetro, nelle immediate vicinanze dell’accesso meridionale, si trovano i resti di una torre che però, a causa della vegetazione, sono al momento difficili da osservare. Accanto a questi è possibile notare una cisterna con tanto di parziale copertura a volta e altri segmenti di muri che disegnano ancora la parte basale di vecchi edifici.
Rilevato ciò, non è certo semplice al giorno d’oggi ricostruire la storia di questo castello, dato che, sopratutto per i suoi primi secoli di vita, mancano testimonianze scritte attraverso le quali fare luce su come lo stesso sia nato e si sia sviluppato. Le informazioni più antiche risalgono infatti al XIV secolo, quando Montagutello (indicato anche come Montautello) era certamente di proprietà Tarlati. Per provare a capire qualcosa di più su questa struttura fortificata non si può pertanto far altro che affidarsi a eventuali supposizioni. Alcune sono facilmente elaborabili, come il fatto che nel seguire le curve di livello la cinta muraria, sfruttando il dislivello della scarpata che si trova subito al suo esterno, doveva quasi certamente racchiudere i circa 2.000 mq della cosiddetta corte alta, ovvero della parte dove viveva il signore. Proprio tale forma, sommata alla modesta estensione, potrebbe avvalorare l’ipotesi che a costruire la fortificazione possa essere stato un signore fondiario che potrebbe avere avuto la possibilità di controllare il territorio attorno alla fortificazione. Proprio sui versanti che degradano circolarmente dalla parte sommitale che venne fortificata potrebbe essere sorto un villaggio popolato da persone che si erano affidate alla protezione del signore del castello: questa possibile deduzione potrebbe essere in parte avvalorata dalle tante pietre che ancora oggi si ritrovano nel bosco circostante.
Al fine di interpretare in maniera più compiuta i resti del castello che sono ancora oggi visibili, è stato contattato Luca Mandolesi, archeologo medievale ed esperto di sistemi informatici territoriali, il quale ha provveduto ad individuare e analizzare alcuni elementi architettonici dai quali è stato possibile ricavare ulteriori informazioni.
Innanzitutto, soffermandosi sulla forma e sulle tecniche di costruzione, Mandolesi ha sposato l’idea secondo cui i resti del castello possano risalire a epoche differenti: a giudicare dalle diversa tipologia di pietre utilizzate, oltre che da alcune soluzioni architettoniche (come una feritoia e altre piccole aperture sulle mura di cinta), emerge ad esempio che la torre, con i suoi conci massicci e regolari, potrebbe essere stata edificata da maestrie piuttosto esperte tra il XII e il XIII secolo. La cinta muraria, invece, con le sue particolari “stondature” e la notevole varietà di pietre impiegate, dovrebbe risalire al XIV secolo. Addirittura, soffermandosi sull’eclettismo di questa, si potrebbe arrivare a ipotizzare che le mura possano essere state costruite dagli abitanti del villaggio circostante, magari attraverso la formula delle corvèe, ovvero delle prestazioni gratuite che le persone, in cambio di protezione, dovevano offrire al padrone.
Per il resto, la cisterna accanto alla torre è spiegabile dal fatto che l’approvvigionamento idrico era al tempo particolarmente importante, quindi sia in questo che in altri castelli, l’accesso all’acqua era la prima cosa da difendere in caso di assedio. Rispetto invece all’accesso che da un punto di vista estetico potrebbe risultare particolarmente suggestivo, ovvero quello con un’arcata che crea un’apertura proprio su un angolo della cinta muraria, c’è da dire che questo non ha nulla a che vedere con l’impianto originario, dato che tale soluzione architettonica è stata realizzata in tempi decisamente recenti.
Per avere un’idea su come potesse essere il castello di Montagutello nei secoli scorsi si può ricorrere al dettaglio di una rappresentazione cartografica del 1674 (“Territorio e confine del Comune di Monterchi”), realizzata con china e acquerello, in cui, seppur in maniera molto stilizzata, è riportata una sua raffigurazione. Da questa si notano le mura con la forma che hanno mantenuto fino ad oggi e alcuni edifici, tra i quali si scorge la croce di una piccola chiesa.
In effetti, come rilevato anche Da Simone De Fraja (“Fortificazioni medioevali in Valcerfone”), nel lato nord della corte alta doveva essere presente proprio un edificio di culto, probabilmente una piccola cappella, di cui oggi si può scorgere il perimetro. Lo stesso sedime, assieme a quello della torre e a quello di qualche altro edificio, è indicato anche sul foglio del Catasto Leopoldino: in questo documento però non compaiono alcune strutture in muratura che tutt’ora, sotto forma di ruderi, possono essere rilevate durante una visita in loco. È, dunque, probabile che queste possano essere i resti di edifici colonici realizzati dopo gli anni ‘30 dell’Ottocento, quindi dopo l’attuazione del progetto catastale preunitario del Granducato di Toscana.
In conclusione, il castello di Montagutello è un sito che indubbiamente, con i resti delle sue testimonianze architettoniche, richiama immediatamente al Medioevo. Tuttavia, come molto spesso accade, questo luogo raccoglie una ricca eredità storica che con le sue stratificazioni non si limita a una sola epoca, ma si estende in un lungo arco temporale che ha visto l’uomo interagire con la l’ambiente naturale, sfruttandone le peculiarità morfologiche, geologiche e strategiche.